Sovranità, debito sovrano, sovranisti. Questa mattina ho giocato con queste parole e alla radice che le Lega e, ad un certo punto, mi son chiesto: ma la nostra sovranità è in vendita?
Ce lo dovremmo chiedere tutti, leggendo la finanziaria, poi il Documento di programmazione e finanza. Guardate questa immagine di copertina. 51%!
Ascoltandoli, i nostri due vicepremier, dovremmo fare i conti e dire che tutto questo non può funzionare.
Come fanno quei due ragazzotti a rimanere lì pacifici e sorridenti? Ce la raccontano davvero bene. Sono due fenomeni della dissimulazione.
Forse non ce lo domandiamo neppure. Ma io sì, me lo sono chiesto tante volte.
Un campanello era suonato fortissimo quando ci avevano raccontato che reddito di cittadinanza e quota cento si potevano fare con un po’ di debito.
E in effetti hanno fatto così. Un po’ di debito in più, come non bastasse già quello accumulato. Poi ci sarebbe stata la crescita e la ripresa. E i giornalisti lì ad ascoltare e poi ad accennare qualche timida domanda.
Arriva il momento in cui si fanno le somme, provvisorie per carità. Nulla torna, anzi. E allora, in un documento di economia, si fa sfoggio non della matematica ma della lingua italiana per dissimulare, per dire e non dire. Tanto quello che conta è la finanziaria. La prossima, ovviamente.
Anche ora… qualche timida domanda… qualche obiezione dalle testate autorevoli della carta stampata. Tanto i giornali li leggono distrattamente le élite che credono ancora che leggere e far di conto siano virtù di base per occuparsi della vita e delle tasche degli altri.
E il debito sovrano cresce. Perché si chiama così: debito sovrano.
E allora mi son chiesto. Ma non avranno ragione loro? Non ci sarà un disegno? Non saremo un po’ tutti complici e concordi con questo disegno che non si può dire. Anzi, proprio quelli lì, quei due ragazzotti sorridenti, con le ragazze appena rimorchiate tra un impegno e l’altro, ci parlano di sovranità. Ci dicono che dobbiamo essere padroni a casa nostra. Che non ci si deve far mettere i piedi in testa dall’Europa (quella signora cattiva che misura il cetriolo e la zucchina).
Per continuare a vivere le nostre vite. Fare i comodi nostri e stare sereni. Per andare in pensione presto o far poca fatica, ma noi facciamo fatica, lavoriamo, facciamo le nostre cose…
Sorridono. Ho capito. Hanno preso per buona quella vecchia scena di Totò e Peppino, rispolverata e messa a lucido.
Vendiamo la Fontana di Trevi, vendiamo il Colosseo, vendiamo… alziamo la posta.
Vendiamo la nostra sovranità.
È quello che ci resta. È tanta roba.
D’altra parte abbiamo iniziato a cedere da tempo.
134% è una cifra vuota. Anche i miliardi di euro sono cifre ormai astratte. Si snocciolano e si dimenticano. Di certo si sottovalutano.
Quello che cediamo – però – è la nostra sovranità.
Facciamo più debito.
Buttiamo là ancora un 1 o un 2%, qualcuno lo comprerà, lo coprirà, perché chi non comprerebbe un pezzo grande e piccolo di una nazione così bella, così ricca, così strategica per la sua posizione geografica, per il suo potenziale addormentato.
La Cina, la Russia o anche gli Stati Uniti.
Allora l’arma di distrazione sono gli stranieri ma solo se neri. Mentre questi vanno bene, che con qualche quattrino possono comprare sovranità, la nostra. Sono invisibili e trasparenti, sono lontani. Clic. Sembrano proprio innocui.
Mi son sempre domandato se sia più importante la politica o l’economia. Tutti abbiamo la nostra risposta. A prescindere dalle risposte di ciascuno… sappiamo che le due sono strettamente legate tra loro. La Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo che l’affida con il voto ai propri governanti.
Ecco. Sovranità e debito sovrano.
Vediamo il povero che bussa alla porta. Lo lasciamo fuori con disprezzo, forse con paura dissimulata. Ma la nostra casa non è più nostra, o lo è sempre di meno. Qualcuno con un clic ne ha portato via un pezzo, poi un altro, poi un altro.
Ci accorgeremo tra un po’ che in questa casa non comandiamo più noi. Potremmo starci, sì, pagando un affitto.
Allora quei due che ci stanno a fare?
Gli piace così tanto riempirsi la bocca di parole. Gironzolare per il Bel Paese a stringere mani tra sorrisi e abbracci, con qualche selfie. Tanto viviamo in un oggi perenne.
E anche se i conti non tornano, torneranno, perché c’è sempre qualcuno che paga, perché Made in Italy è bello, tanto bello. Ce lo dicono tutti con un sorriso e la pacca sulla spalla.
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