NUOVI SERVIZI AL LAVORO

Dalla battaglia sulle regole a quella sulla crescita e sui servizi al lavoro

 

Sulla crescita, lascio ad altri il compito di sviluppare proposte ma la crescita è la condizione necessaria per invertire il trend del mercato del lavoro.

E’ indispensabile costruire un sistema moderno di servizi al lavoro che adotti un modello integrato in rete tra servizi pubblici al lavoro e agenzie private per la formazione e il lavoro

 

Le regole

Ichino è il padre del Jobs Act, ha portato e sostenuto la flexecurity in Italia. La sua battaglia è stata ed è importante sul piano giuridico, delle regole, delle norme.

Le riforme del lavoro (Treu 97, Biagi 2003) non hanno portato gli esiti sperati anzi hanno sbilanciato il mercato del lavoro verso una pluralità di forme di impiego instabili che hanno generato incertezza e impedito a due generazioni di programmare il futuro. Questo ha depresso i consumi e l’impatto con la crisi è stato molto negativo.

Introdurre sicurezze in tutti i rapporti di lavoro non è solo una battaglia di uguaglianza e di giustizia ma è anche una necessità economica. La propensione di spesa e di investimento cambia tra una persona tranquilla e una insicura con rapporti di lavoro instabili.

Sul versante delle regole ci sono ancora molte cose da fare ma la linea è tracciata: rapporti più stabili e uguaglianza nei diritti. Abbiamo infatti vissuto una spaccatura invisibile tra aziende con meno di 15 dipendenti e le altre, tra lavoratori subordinati e atipici. Vere caste dove i diritti erano solo per alcuni. Non è ancora terminato il processo, bisogna presidiarlo ma è stato avviato proprio dalla Fornero che ha posto le basi per una riforma degli ammortizzatori sociali. Quella distinzione tra piccole imprese e le altre era figlia del presidio o meno del sindacato, che non riuscendo a far tessere nelle imprese artigiane, ha abbandonato quei lavoratori al loro destino (esempio: legge 223 molto diversa da 236).

 

I servizi al lavoro

Le due sfide, tutte da giocare, sono la crescita e disegnare un nuovo scenario di operatori e di servizi al lavoro.

La gestione delle politiche attive del lavoro ha fallito miseramente.

Ci sono situazioni molto avanzate (anche se non perfette) e altre di arretratezza imbarazzante.

L’Agenzia nazionale di cui si parla e alla quale stanno lavorando al Ministero del lavoro è sicuramente necessaria per:

  1. Definire gli standard dei servizi al lavoro
  2. Impostare e gestire gli strumenti di raccolta dei dati
  3. Sostenere la crescita, la formazione, l’organizzazione delle risorse umane (nuove) per un sistema organico di servizi al lavoro
  4. Monitorare il mercato del lavoro
  5. Costruire il quadro completo delle figure professionali declinate per competenze

Non immaginiamo un’agenzia nazionale che gestisca i Centri per l’impiego e i servizi al lavoro.

 

I servizi al lavoro necessitano di sportelli territoriali (collegati ad enti territoriali) che si occupino dell’informazione orientativa di base e del’invio a servizi specialistici erogati dal privato dal privato sociale.

 

È indiscutibile che le risorse umane presenti nei centri per l’impiego provinciali non hanno una caratteristica omogenea, molto spesso il personale non è adeguato ai profili di cui c’è necessità. 15 anni di decentramento ci consegnano uno scenario multiforme e comunque non adeguato per un modello simile a quello olandese (verso il quale si sta guardando con interesse).

 

Alcuni elementi di riforma a costo zero:

  • Il sistema di comunicazioni obbligatorie online deve sostituire immediatamente il modello di iscrizione e di domanda di ammortizzatori sociali. Quando l’azienda licenzia il lavoratore, la comunicazione deve automaticamente divenire domanda di sussidio.
  • L’iscrizione dell’inoccupato non è deve essere un adempimento burocratico ma una richiesta di accesso ai servizi di orientamento.

(queste due operazioni assorbono tra il 70 e il 90% delle attività dei Centri per l’impiego)

 

I nuovi Centri per l’impiego

sono di fatto un punto di raccolta e di smistamento delle richieste di servizio, più o meno consapevoli, delle persone alla ricerca di un lavoro. L’Agenzia Nazionale sovrintende alla definizione dei servizi ma anche all’assegnazione agli operatori privati di un rating di efficienza aggiornato, trasmesso ai CpI.

I CpI promuovono le richieste di personale attraverso uno strumento unico di comunicazione online che viene alimentato dalle aziende (gratuitamente su base volontaria) e dalle agenzie accreditate (necessariamente e obbligatoriamente mantenendo l’anonimato dell’azienda cliente). La pubblicizzazione avviene anche negli sportelli dei CpI, nei Comuni e negli Informagiovani.

 

I servizi specialistici al lavoro sono erogati da enti accreditati a livello nazionale e da enti autorizzati a livello regionale che abbiano requisiti di qualità certificati e monitorati dall’Agenzia Nazionale.

I servizi sono di ampia tipologia ma definiti e finanziati in maniera univoca e beneficiano dei fondi FSE garantiti su base nazionale e regionale con cofinanziamento. Il meccanismo di erogazione è libero e legato ad un voucher differenziato per fasce di occupabilità.

Gli Enti sono accreditati, autorizzati, catalogati e monitorati rispetto alle singole tipologie di servizio o per filiera di servizi e per tipologia di utenti, favorendo cos’ anche la specializzazione degli operatori.

Rispetto alle modalità di riconoscimento e valorizzazione dei servizi è ormai prassi comune in tutti i sistemi collaudati una differenziazione dei servizi e dei compensi sui target di utenza e la definizione di una quota fissa di servizio e una di premialità di risultato per ridurre il rischio di parcheggio degli utenti in servizi ripetitivi e inutili e per evitare il fenomeno di accaparramento dei “facili” da collocare.

In Olanda è ormai in vigore un sistema di autodisciplina gestito da una agenzia autonoma che interviene su comportamenti scorretti. L’Agenzia nazionale potrebbe inizialmente sovrintendere anche a questa funzione.

 

Un esempio di erogazione di servizi in rete è attualmente in fase di realizzazione in Regione Lombardia che sta utilizzando i residui del FSE 2013 per un programma di 20ml di euro. Ne ha stanziati negli ultimi anni 200ml ed ha una popolazione di 10ml di abitanti.

Nelle reti enti accreditati ed autorizzati in collaborazione libera e autoregolamentata tra loro operano per la ricollocazione attraverso azioni di orientamento, accompagnamento al lavoro, promozione dei profili e formazione specifica dei disoccupati.

Nelle tre reti che ho progettato e sto gestendo sono coinvolti 3 Centri per l’impiego che forniscono l’utenza e mettono a disposizione le loro banche dati per l’analisi – con un software sperimentale – che evidenzia le aziende propense ad assumere gli utenti presi in carico sulla base delle comunicazioni obbligatorie.

Un operatore commerciale della rete utilizza l’elenco delle aziende per la segnalazione proattiva dei candidati che sono seguiti nei percorsi del progetto di rete.

(esempio: ho un cuoco, la banca dati mi dice quali aziende hanno assunto cuochi negli ultimi due anni, contatto l’azienda e propongo il cuoco)

 

Avere sistemi regionali che consentono di poter fare queste attività ed averne altre, magari confinanti, che non fanno niente di nemmeno paragonabile, pone l’accento sul fallimento del sistema attuale dei servizi al lavoro. Non parliamo del sud, dove i fondi sono magari anche più generosi ma finiscono in rivoli improduttivi e non sono canalizzati invece in filiere efficaci ed efficienti.

L’esempio lombardo può sembrare un modello, ha anch’esso le proprie pecche ma indica che quanto vorremmo fare si può fare e che l’integrazione tra pubblico e privati è possibile e anche necessaria.

 

Abbiamo vissuto il modello centralizzato e quello decentrato, entrambi i sistemi non hanno dato una buona prova di sé. È necessario articolare un sistema che assegna l’operatività al territorio e la dotazione di strumenti, metodologie, monitoraggio e valutazione al centro. Gli operatori devono essere liberi di agire singolarmente o in rete ma la loro valutazione non deve essere burocratica e procedurale ma focalizzata sui risultati e sui processi di erogazione.

 

Invito tutti i lettori di questo contributo a verificare sul loro territorio:

  1. cosa fanno i Centri per l’impiego provinciali
  2. quali servizi sono realizzati su regia regionale e quali azioni intraprende la regione e con quali finanziamenti
  3. quali sono gli operatori privati attivi (agenzie di somministrazione, centri di formazione, attori del privato sociale, comuni)

Questa ricognizione è molto importante per capire qual è il gap che ci separa da un sistema maturo e funzionale.

 

Ne parlavo con Ichino un anno fa. Mi sono reso conto di come fosse lontano dalla realtà di ciò che accade nel mondo dei servizi al lavoro, persino in Lombardia che è già “avanti”. Pensava che il Jobs Act potesse agganciarsi in breve tempo ad un sistema di servizi al lavoro senza avere la cognizione che le strutture pubbliche ma anche gli operatori privati sono ancora immaturi e non sono certo pronti a costruire un sistema.

Partendo invece dalla consapevolezza di ciò che abbiamo, possiamo impostare un percorso per arrivare a costruire questi servizi in filiera. Scopriremo che così costano meno (riducono i costi degli ammortizzatori rendendo applicabile il principio della condizionalità) perché funzionano.

Il modello svizzero assegna ad ogni collocatore un numero limitato di persone da seguire, è nel suo interesse seguirli bene e pungolarli e coinvolgerli in attività utili perché il suo lavoro (anche lo stipendio) è valutato sulla base del risparmio che genera alla cassa dei sussidi di disoccupazione.

La condizionalità è l’altro grande tema. Se propongo un lavoro congruo al mio utente, questi non può rifiutarlo pena la perdita degli ammortizzatori. La norma è del 2003. Mai applicata.

Ci vuole una procedura certa ed un sistema di accreditamento dell’operatore che lo metta in condizione di segnalare i comportamenti aberranti perché così tutela l’interesse pubblico che coincide con il proprio (legato al risultato e alla propria reputazione data dal rating di servizio).

Oggi siamo inermi di fronte a persone che percepiscono per tre anni il 70% dello stipendio che ci dicono di non “disturbarle”. Così i servizi non possono nemmeno partire.

 

E di questo abbiamo bisogno: idee chiare e semplici per ripartire.

 

 

Como

Luca Monti

21 marzo 2015

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