Su queste due parole si è giocata una partita quattro anni fa.
Chi ha vinto quella sfida, dopo quattro anni si ritrova perso e, noi, suoi alleati, smarriti. Ma che cos’è successo all’Italia il 4 marzo?
Ha vinto la paura.
In questa mattina umida e nuvolosa la bandiera di +Europa è afflosciata in attesa di uno spirito d’aria che la risollevi.
Dove abbiamo sbagliato? Dove noi e dove gli altri? Che cosa è mancato o che cosa hanno avuto gli altri? Che cosa avremmo potuto dire e fare di +?
Vedo il lembo giallo muoversi. C’è ancora una leggera aria là fuori. Un refolo.
Ieri sera sono stato al Teatro Sociale, affollato per ascoltare due persone qualificate che hanno parlato di futuro: Come si convive con le macchine intelligenti? Il tema è attuale.
Una platea così ce la siamo sognata per un mese e mezzo, senza vederla mai, anche se ci hanno votato, in quella città, un numero di persone che quel teatro non potrebbe contenere.
Seduto tra le prime file mi sono ricordato del ritornello tra paura e speranza, quello del Renzi migliore. E la partita è rimasta lì, tra due sentimenti che possono cogliere ciascuno di fronte al mondo che cambia. Tutti vorremmo la speranza ma possiamo diventare vittime della paura. Così è andata.
C’è chi ha soffiato sulla bandiera scura della paura. Noi abbiamo risposto con il ragionamento, con la razionalità… non con il sentimento, non con la speranza.
Così si è maturato quel risultato. È come se quattro anni fa si fosse piantato un seme, quello della speranza, che è germogliato ieri nella paura.
Perché le persone scelgono non sulla base di un ragionamento ma sull’emozione e sul sentimento. Illusione e delusione – sentimenti – sono facce della medesima parola. L’illusione di allora si è trasformata in delusione. Il ragionamento… tagliato fuori, marginale. Un 20%: minoranza assoluta.
E allora cosa possiamo fare?
Questa è la domanda che non ha una risposta sola, che non ha una risposta facile.
Per prima cosa dobbiamo essere consapevoli che la componente emotiva è essenziale e decisiva. È uscita dalla nostra narrazione elettorale anzi non è mai entrata. Solo corrette ricette razionali.
Il secondo elemento è crederci: dobbiamo avere consapevolezza che quello che proponiamo è assolutamente alternativo ed è giusto.
Ultimo: la visione di futuro che è, per prima cosa, nostra ma che deve trovare le forme per esprimersi per gli altri.
Che idea abbiamo di mondo, di vita, di società, di valori. Su che cosa costruiamo la speranza? Come allontaniamo la paura e l’illusione che ha colto le persone, quelle comuni, quelle deboli, quelle arrabbiate?
Il mondo cambia velocemente. Le persone l’hanno capito e qualcuna l’ha già subito. La loro comprensibile prima reazione è quella di difendersi, di proteggersi, di arretrare. I vincitori di queste elezioni hanno rappresentato e interpretato quel sentimento. “Vieni con noi… metteremo una barriera per proteggere la tua sicurezza… ti daremo un aiuto perché non ce la fai… trasformeremo lo stato che ti chiede soldi in uno che te li restituisce.”
Non importa se sono proposte irrealizzabili. Hanno una forte leva emotiva. Non solo… scaricano fuori, su qualcuno più forte, il problema.
E qui noi potremmo obiettare mille cose, partendo dal fatto che c’è il debito pubblico… ragionamenti. Ancora ragionamenti.
Ci abbiamo provato a dirle ma milioni di italiani non volevano nemmeno sentirle.
Il gioco della comunicazione, la sfida speranza contro paura era forse ancora quello giusto. Non potevano essere i cento punti stilati da Nannicini, bravissimo, forse il più bravo di tutti.
Non era nemmeno il nostro programma, perché era difficile trovare il tempo e il modo per raccontarlo. La par condicio ci ha condannato a un quasi silenzio. Ma non è neppure questo. Non c’era disruption, direbbero quelli che masticano innovazione e futuro e tecnologia tutti i santi giorni.
Di fronte alla quarta rivoluzione industriale si deve sviluppare una quarta rivoluzione sociale. L’abbiamo capito?
Qual è la nostra visione di futuro?
Quali i nostri valori?
Come pensiamo di aiutare tutti quelli, e sono sempre di più, che non ce la fanno e non ce la faranno a seguire un modo che cambia velocemente.
Su cosa dobbiamo puntare?
Sulla scuola? Per esempio. E allora cosa possiamo fare per cambiare un dinosauro che occupa un milione di votanti, tanti sono i dipendenti del Miur? Eppure, lì si gioca una partita decisiva per far sì che i giovani abbiano gli strumenti per affrontare il futuro. E per quelli che non sono giovani?
Ma che cosa c’è di buono e giusto nel reddito di cittadinanza?
Che cosa nella flat tax?
Che cosa nella voglia di sicurezza?
Oppure girando ancora lo sguardo su quello che funziona: che cosa può risolvere i problemi veri delle persone quando si parla di economia circolare, di welfare generativo, di sussidiarietà circolare? Come si fa dimagrire lo Stato? Che cosa può fare l’innovazione per questo?
Quali possono essere le proposte innovative che possono scaldare il cuore della speranza di fronte al gelo della pura che abbiamo sentito spirare ancora due giorni dopo che Burian ci aveva lasciati?
Luca Monti
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