La migrazione ha accompagnato l’evoluzione umana da sempre. È stato il principale vettore culturale, anche superiore alla scrittura. Nella storia le carestie, le epidemie e i grandi fenomeni naturali sono stati cause scatenanti di grandi fenomeni migratori. Oggi leggiamo la storia delle emigrazioni nelle impronte genetiche del DNA così come nei reperti archeologici come risposte alle glaciazioni e alle derive dei continenti.
Talvolta questi spostamenti sono stati pacifici, in altre occasioni sono stati conflittuali o persino si sono caratterizzati come vere e proprie invasioni.
La migrazione ha portato diversificazione e scambio, facendo crescere la cultura umana, superando i vincoli delle lingue, delle religioni e della politica.
Questo flusso di numeri enormi di persone è stato sempre caratterizzato da asimmetrie informative. Pensiamo alle grandi scoperte e alle esplorazioni anche solo di pochi secoli fa.
Oggi, nel mondo globalizzato e connesso, che si alimenta di informazione granulare e in tempo reale, assistiamo ancora al perdurare di una asimmetria informativa che tuttavia può essere risolta.
La migrazione, se gestita in un quadro di informazione simmetrica, può aumentare esponenzialmente il proprio effetto di crescita culturale, economica, sociale sia per i migranti che per i paesi di destinazione.
La motivazione e la spinta al miglioramento continuo delle condizioni di vita è sempre stata un motore decisivo per lo sviluppo e, appunto, la crescita. Pensiamo alla sua incidenza sul PIL.
Oggi molte realtà del cosiddetto primo mondo sono colpite da una crisi demografica progressiva e dall’invecchiamento della popolazione che vedono nella solidarietà ed equilibrio generazione le leve di sostenibilità dei propri sistemi di welfare.
Come spesso accade, la soluzione viene confusa o rappresentata come un problema.
Eppure l’Italia ha visto nella storia recente un fenomeno di migrazione economica interna che, con frizioni, ha consentito di rispondere ai fabbisogni delle grandi industrie del nord nel boom degli anni ’60.
In quel caso le simmetrie informative si superavano attraverso i legami parentali e il passaparola. Oggi le dinamiche e gli strumenti sono diversi ma disponibili ed anche notevolmente più efficaci.
Una legge, varata ormai quasi vent’anni orsono e molto criticata – la cd. Bossi Fini – ha regolato i flussi di immigrazione basandosi su un principio di legittimazione legato al lavoro. Non all’occupabilità perché non prevedeva meccanismi, servizi, strumenti per consentire il collegamento tra domanda e offerta.
In questi due decenni si sono stabilite nel tempo delle quote di disponibilità attraverso una programmazione abbozzata sui soli fabbisogni presunti o rilevati. La legge era chiaramente giocata sull’asimmetria informativa.
Tuttavia siamo nel mondo dell’informazione diffusa e quindi questo principio (forse volutamente ostativo) si può rivelare nella realtà l’elemento cardine su cui organizzare un sistema di “reclutamento” mirato dei talenti migranti di cui il nostro Paese ha indiscutibilmente bisogno per ragioni economiche (bisogno di crescita, carenza di profili ed emigrazione dei giovani).
Un sistema capace di intermediare domanda e offerta di lavoro sulla base di elementi oggettivi di competenza risolve il nodo del reperimento e inserimento lavorativo, anche superando distanza, lingua e differenze “formali” ancorandosi alle compatibilità sostanziali.
Un altro ostacolo, che ha sempre limitato l’accessibilità dei “talenti migranti” in Italia, e in generale in Europa, è legato al riconoscimento del titolo di studio. Esiste e permane una diffidenza – talvolta giustificata dalla differenza tra i sistemi – rispetto alla capacità di un titolo di studio straniero di rappresentare competenze spendibili nel mercato del lavoro italiano.
Spesso titoli di studio terziari e secondari sono stati “tradotti” in un semplice titolo generico di assolvimento del primo grado di istruzione obbligatoria e generica.
È evidente che questo limite “burocratico” ha avuto anche un’incidenza nella cultura diffusa sia nelle imprese che nella popolazione rispetto alla validità e, quindi, valore della formazione di chi è immigrato.
Se guardiamo alle caratteristiche di una grande parte degli immigrati vediamo che questi hanno una scolarità di livello secondario o terziario e, nelle dinamiche di scelta, spesso le famiglie o il villaggio selezionano la persona più “dotata” per affrontare il viaggio verso l’Europa.
Lo scenario tuttavia, se osservato con una diversa e corretta visione, mostra tutto il proprio potenziale positivo. Gli Stati Uniti, già nell’amministrazione Obama, avevano avviato programmi di selezione in loco in Africa, un continente giovane e demograficamente esplosivo, guardandolo come giacimento di talenti e non solo di “materie prime”.
“Talenti migranti” propone il medesimo approccio.
La certificazione introduce una soluzione tecnica e culturale per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, attraverso la costruzione di una simmetria informativa che il digitale agevola. La pratica della formazione e della certificazione di competenze instaura un dialogo comune (word wide) tra le imprese e famiglie di destinazione e i potenziali candidati.
La certificazione infatti può essere conseguita attraverso un percorso di valutazione, con un mix tra online e in presenza, per arrivare a una vera e propria selezione utilizzando le piattaforme sempre più presenti ed efficaci.
Il costo della certificazione è elevato ma assolutamente competitivo con qualsiasi costo di “immigrazione asimmetrica” e potenzialmente “irregolare”. Si deve inoltre considerare che la “certificazione” supera il limite e il vincolo della singola proposta di lavoro perché il certificato ha una fungibilità, validità e spendibilità legata al mix di competenze acquisite e riconosciute.
Non si deve, in questa visione, trascurare anche alcuni elementi di contesto che facilitano il superamento della criticità delle prove in presenza. Nel mondo esistono centri di formazione che possono svolgere anche la funzione certificativa. Talvolta sono presenti inoltre reti di organizzazioni filantropiche o confessionali, che si occupano di formazione ed educazione con strutture attrezzate, che arricchiscono il panorama logistico e operativo.
Talenti migranti risponde alla lettera della legge Bossi Fini che legava il diritto di immigrazione alla disponibilità già definita di un rapporto, sia pur non del tutto perfezionato, di lavoro.
La proposta utilizza gli strumenti digitali e della videoconferenza, sempre più disponibili, diffusi e user friendly cui aggiungere una rete di “potenziali hub certificatori” nei paesi di provenienza.
Supera il limite formale dell’equipollenza (assolutamente obsoleta e da abbandonare) attraverso la sostanza del riconoscimento delle competenze e affida al sistema di riconoscimento EQF la “potenziale” conversione formale in titoli di studio per accedere alla formazione successiva o complementare e per gli altri usi previsti dalle norme.
È un’iniziativa certamente impegnativa e difficile ma ha il pregio di rovesciare un vincolo e tradurlo in un’opportunità.
Talenti Migranti è il progetto pilota di CEQF (www.cewq.org) per la realizzazione di un sistema di certificazione delle competenze che favorisca l’incontro tra domanda e offerta di lavoro attraverso piattaforme online e una rete di operatori accreditati secondo i parametri CEDEFOP nei paesi di provenienza.
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